Chi siamo

Quando e perché nacque la Res

Le Edizioni Res sono nate nel 1990 come un’iniziativa volta a colmare una grave carenza del mercato librario, attraverso un’attività di riedizione di testi di significativa rilevanza per la nostra tradizione letteraria. Da allora, con un ritmo di quasi quattro titoli l’anno, abbiamo collezionato una fitta schiera di titoli: un vero primato se si pensa che i testi proposti sono tutte nuove edizioni di opere altrimenti irreperibili e se si considera il fatto che soltanto per poche di esse si è fruito di quei finanziamenti pubblici o privati senza i quali altri editori non si avventurano nell’impresa di pubblicare classici italiani. Si aggiunga che si sono qui superate le consuete soluzioni offerte dal mercato: né ristampe anastatiche, né edizioni critiche con apparato, ma un ritorno a modi meno pedanteschi di accostare il nostro passato; ovvero semplicemente ristampare i libri, ristamparli con la massima cura, sia filologica che editoriale, ma dando il maggior rilievo al testo e non al lavoro filologico di preparazione. Così, a fronte di tanto ‘filologismo caricaturale’, che viene talvolta ad occultare dietro pretenziosi apparati una cura dei testi approssimativa, le pubblicazioni della Res si segnalano, nell’esplicito rifiuto dell’edizione critica, per il rigore ecdotico ormai riconosciuto da fonti affidabili e autorevoli.

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Il libro oggi

Il libro oggi, già nella sua stessa veste, si presenta aderente a ciò che è ritenuto il gusto del consumatore: è pubblicità, colore, rispetto delle aspettative del cliente, e, misconoscendone l’originaria natura, servizio, bene di consumo. Cerca di sottrarsi alla sfera artigianale per collocarsi come prodotto di massa di un genere di lusso, di richiamare l’attenzione di una società che per la fatica e il piacere dello studio non ha più tempo. La classifica del libro più venduto è l’espressione più tangibile e volgare dello scadimento della sua funzione di conoscenza. Il lettore colto di oggi non ha molta scelta: deve prestarsi al gioco dei dibattiti culturali e soggiacere alla necessità dell’informazione sulla novità. Non esistono splendidi isolamenti che possano giustificare un’ignoranza contingente, bensì un universale connivente silenzio su quella generale, fondato sulla comune intesa di attestarsi ad un livello rapportato ai tempi. La lettura diretta, di ‘prima mano’ e non la discussione critica o il saggio, non è presa neanche in considerazione al di sopra della linea spartiacque della modernità, e insomma esclude praticamente, tolti i grandi classici di tutte le letterature, quanto va fino oltre la metà del ‘700, ciò che tra l’altro coincide coll’affermarsi del romanzo, unico genere letterario superstite alla contemporanea decimazione degli interessi.

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A chi ci si rivolge

La veste stessa delle nostre edizioni vuole richiamare quella che dovrebbe essere la funzione primaria dei libri: essere letti. Non vi si troveranno voluminose introduzioni o soffocanti apparati di note, ma il testo in edizione moderna, corredato da essenziali informazioni utili a illustrarlo. Il proposito è quello di raggiungere il lettore colto e non soltanto lo specialista, muovendo dalla constatazione che la situazione della lettura in Italia non è imputabile tanto alla conclamata carenza di lettori, quanto alla mancanza dei libri stessi, intesi come vivente e duraturo tessuto della nostra tradizione letteraria e non come oggetto di consumo, destinato a durare soltanto fino ad essere rimpiazzato da merce più fresca, ultimi successi da vetrina. Le vetrine cui i nostri volumi ambiscono, e in cui sarebbe doveroso trovare loro una collocazione, sono invece quelle dei settori di italianistica delle sale di consultazione delle Biblioteche italiane: sarebbe tempo infatti che in quegli scaffali, all’ormai spropositato numero di manuali e di storie letterarie, monumentali soltanto per la mole, si sostituissero le collane di testi, questi sì degni di essere conservati per le generazioni a venire.

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Un progetto organico, non una filza di titoli

La novità più sostanziale della Res consiste nel fatto che le sue proposte non muovono da episodiche e occasionali ricerche di questo o quello studioso, ma si articolano invece in un organico ripensamento della storia letteraria italiana, il cui centro e il cui spirito è riconosciuto nel classicismo rinascimentale. Da qui l’elaborazione di quattro collane distinte, ciascuna dedicata a un fondamentale aspetto della vicenda letteraria nazionale: la prima (Parthenias), una novità assoluta, ripropone opere di poesia latina dell’età umanistica; seguono poi una collezione di poesia (Feronia) e una collezione di traduttori (Echo), che al recente interesse critico verso l’ipotesi della traduzione come genere letterario risponde attraverso una serie di testi che, dall’età umanistica alla stagione neoclassica, hanno portato, nella pratica del volgarizzare, alla maturazione la lingua letteraria nazionale; infine vi è la collezione di retorica (Alethes), ovvero di quella disciplina il cui principio antimetafisico (i loci del sapere contro le categorie astratte della logica) ha costituito il fondamento che ha consentito alla cultura italiana, almeno fino a tutto il Settecento, di essere latrice al cospetto dell’Europa della tradizione greco-latina rivissuta e fatta propria, tanto da farsene erede in un’ideale continuità. Ad esse, sorte e concepite al di fuori dell’ambito accademico, si è poi aggiunta una quinta collana (Scrinium) che integra la prospettiva del ritorno al centro della tradizione con una scelta di preziosità che vanno via via ampliando il repertorio degli autori italiani con riscoperte che sono diventate indispensabili a dare una più veritiera immagine della ricchezza del patrimonio poetico della letteratura italiana.

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Il fine del progetto

Il fine di questo progetto è il ripensamento dell’oggetto neutralizzato con l’etichetta di Rinascimento, momento che costituisce l’eredità più vitale della nostra cultura, benché il rivolgimento romantico che ha informato di sé il pensiero moderno ne abbia negato la sostanza rendendolo ormai estraneo e non più comprensibile. La critica cui la storiografia di questo secolo ha sottoposto il concetto ha finito per negargli ogni valore, giungendo a sostenere che non è riconoscibile nello sviluppo storico alcuna considerevole frattura fra la civiltà medioevale e quella che l’ha seguita, quando basterebbe a smentire questa tesi soffermarsi sull’incredibile fioritura di ingegni che a quel tempo l’Italia conobbe. È in tali secoli che l’Italia detiene in Europa il proprio primato, e in Italia tale movimento di pensiero prende le mosse dalla riscoperta dell’antico, mentre il movimento romantico, anti-italiano e anti-classicista, liquida definitivamente, in nome della nozione di progresso, la questione, ormai respinta come affatto risolta, degli antichi e dei moderni.

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Le humanae litterae contro il fallimento della modernità

Di fronte al fallimentare bilancio di una modernità che della cultura scientifica ha fatto il proprio feticcio emancipandola dal presunto impaccio costituito dalle humanae litterae, non sarà inopportuno richiamare in vita la conoscenza espressa dal sapere retorico, custode nell’antimetafisica costruzione dei loci del sapere, di un pensiero capace di sottrarsi alla semplificazione che ciò che non inquadra come categoria logica astratta disperde come accidentale. La centralità assegnata al pensiero retorico nella cultura italiana, almeno fino a tutto il Settecento, è quanto ha consentito ad essa di concepire, sulla scorta dell’imitazione dell’antico, forme di sapere estranee all’astratta determinatezza della logica. In ciò sta la vivente attualità dei valori della classicità, nel fatto di costituire un approccio atto a porre ancora l’attività umana in modo globale, contro la moderna frantumazione in ambiti sempre più minimi e miopi, attraverso i fondamenti retorici e materiali del sapere.

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